Cartoline persiane/1 – Kashan

Cartoline persiane/1 – Kashan

A Ilaria, perché non potrò più raccontarti quello che vedo.
Continuerai sempre a viaggiare con noi.

Kashan si annuncia con i colori del deserto, anche se nasconde giardini, il cui verde è nutrito da acqua di sorgente portata qui dai vicini monti Zagros.

L’ocra delle case, dei muri, delle strade confonde gli occhi così che le nuvole scure che si gonfiano e spingono nel cielo, sollevate da venti di tempesta, sembrano un miraggio di altre latitudini. Giallo e grigio piombo danno un contrasto che affascina la visione, che la incanta riempiendola eppure rimanendo aperto, mentre osservo le linee squadrate degli edifici, ammorbidite dalle cupole delle moschee e dalle rotondità dei tetti degli hammam.

Siamo arrivati qui quasi per caso, e senza bici, possiamo così aprirci a una fascinazione senza preconcetti, senza uno schema in cui chiudere il nostro scoprire.

Le ricche case dei mercanti vissuti al tempo della dinastia Qajara sono l’espressione più forte dello scarto che attraversa ogni aspetto della vita in Iran, ancora e forse più oggi: quello tra pubblico e privato. Se da fuori un quasi anonimato le protegge, dentro gli spazi sono sontuosi, immensi, su più livelli. Per quanto spogli di mobilio e decorazioni, le stanze e i giardini ci parlano, quasi fino a immaginarne i suoni con un orecchio capace di immergersi tra tappeti, affari e intimità.

Delle vetrine che cercano di catturare gli sguardi insieme alle voci dei venditori, ad arrivare prime all’olfatto sono quelle dei laboratori che producono e commerciano la famosa acqua di rose che di certo, qui, non viene presa con leggerezza, tutt’altro. A perdersi tra gli scaffali pieni di questa e altre essenze si può anche trovare un dottore che, con un approccio olistico di sicuro troppo rapido, pretende di analizzare la tua salute, proponendo rimedi più o meno naturali ma disponibili in quantità al piano inferiore. Dimenticando la cosmesi, per rinfrescarsi, un succo di litchi un po’ troppo zuccherato può essere un’alternativa migliore.

Cerco scatti che raccontino storie, come le marionette del piccolo museo ospitato dall’ostello in cui dormiamo. Il vento accarezza la stanchezza nel cortile, i veli scivolano sulle spalle a lasciar respirare capelli e pensieri, ancora una intimità interna, privata, che lascia un mondo fuori per ritrovarne un altro più consono e libero, si beve té, ma l’alcol gira intorno, viene offerto, condiviso.

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