Cartoline persiane/3 – Tra Bandar Abbas e Hormuz (c’è il mare)

Cartoline persiane/3 – Tra Bandar Abbas e Hormuz (c’è il mare)

Nel pieno delle vacanze per il Nowruz e con un caldo umido inaspettato, Bandar Abbas mescola nella percezione l’India (l’idea che ne ho) e il Marocco (la memoria che me ne rimane, dopo più di vent’anni).

L’atmosfera è di festa, le tende e i barbecue sono ovunque: di questa città non percepiamo muri né moschee, né li ricorderemo. Solo il vociare e il chiasso, il traffico e i parcheggi impossibili, i profumi dei cibi, la notte che arriva che abbiamo ancora addosso i vestiti da bici.

India e mondo arabo: non mi sbagliavo nemmeno tanto. A leggere la storia dell’area e in particolare dell’isola di Hormuz, che a Bandar Abbas sta in faccia, 45 minuti di traghetto, nelle acque del Golfo Persico, questa era tappa obbligata per ogni commercio con l’India e, più in là, la Cina.

Un piccolo regno che comprendeva l’isola e un po’ di terraferma, su entrambe le rive, Persia e Arabia. I Portoghesi ci avevano messo mano, aumentando ancora il meticciato storicamente diffuso, costruendoci anche una fortezza.

Sull’isola i colori e i tratti dei visi sono diversi, le donne bellissime, i ritmi più lenti e le regole più flessibili, anche se la visita alla fortezza non ammette i pantaloni corti per gli uomini e qualche solerte poliziotta invita a coprire di più collo e capelli alle donne. Ma ci dicono che si trovano birre e che in qualche punto si può fare anche il bagno in bikini: può sembrare poco, ma le libertà qui si strappano un pezzetto alla volta, quando si può.

Villaggio di pescatori che fatica a convertirsi al turismo di massa (che rimane ancora quasi solo iraniano) e a sopportarlo. Ma i mille colori che l’isola conserva e rivela sono uno spettacolo imperdibile.

Bandar Abbas è anche A., che a 19 anni oppone la sua curiosità intellettuale a una famiglia e a una società troppo tradizionali; grande cuore e mente attenta, si è preso cura di noi da subito e per ore e giorni: un posto da dormire, passeggiate per la città, lungo il mare a immergerci in questa atmosfera di festa così lontana dalle nostre abitudini, ad assaggiare panini con lo squalo e suragh, un pane non lievitato farcito con formaggio e con una salsa fatta di pesce e della sabbia rossa di Hormuz, il mangiare come fusione con la terra, mangiare un’isola, diventarlo.

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