Cartoline persiane/6 – Tehran
Tehran è, prima di tutto, capitale e, come tante capitali, troppo grande.
È attraversata da resistenze quotidiane, piccole, a volte appena percettibili che però aprono percorsi di libertà. La maggior parte del tempo sotterranee, si preparano a esplodere a ondate, caricate verso il futuro.
Chiaro agli occhi, Tehran è una città che sale, come se volesse scrollarsi di dosso lo smog, il traffico e il cemento aggrappandosi alla purezza innevata delle montagne che stanno alle sue spalle, bianche ancora in primavera: dai 1100 ai quasi 1700 metri lo sforzo, anche del passo e del respiro, è percepibile.
Di storia antica se ne vede poca e l’ambasciata americana assaltata nel 1979 è adesso un museo. Come se una modernità compulsiva cercasse di spingere in avanti, ma con i mezzi limitati da quattro decenni di feroci sanzioni economiche. Si vede anche nei quartieri nord, ricchi e sfrontati a dominare la città, con i loro centri commerciali che sanno di lusso (e che hanno bagni impeccabili).
Nel parco di Niavaran respiro e immagino gli amori non corrisposti di un amico e adoro quando l’esplorazione si fa personale, intima, seguendo un percorso emotivo.
A Tehran il mondo artistico è puro fermento, band e musicisti fanno tendenza, resistenza culturale prima di, spesso, essere costretti a cercare rifugio in altri paesi. Perché questa capitale sente più forte il desiderio di fuga di tanti giovani che vogliono cercare il futuro altrove.
Che la crisi morda duro si vede, si sente nella parole della gente, nei gesti e nelle cantilene dei venditori di ogni possibile oggetto che percorrono i vagoni della metro. O in quelli che, grandi sacchi sulle spalle, cercano tra i rifiuti materiali da recuperare per qualche rial.
Tutto questo Tehran lo tiene insieme, smussando gli spigoli, sorridendo le contraddizioni, non curandosi troppo del futuro che l’abitudine a gestire l’ingestibile, per chi vive qui, è pane quotidiano.